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Immagine del redattoreMilton Friedman Society

BEAT – COIN

Se Guerre Stellari nasce negli anni ’70 dall’idea visionaria di George Lucas anche la storia dei Bitcoin ha origine “tanto tempo fa in una galassia lontana lontana”.

Fu Milton Friedman a proporre un’idea semplice e rivoluzionaria: un mezzo di pagamento decentralizzato e virtuale, volto a trasferire valore tra gli utenti in modo sicuro e senza alcun bisogno di terzi intermediari. Ci sono voluti ben trent’anni prima che l’utopia futurista dell’economista di Chicago diventasse realtà.

È Satoshi Nakamoto, probabilmente uno pseudonimo, l’uomo che al termine del 2008, nel mezzo della crisi immobiliare che travolgeva i mercati finanziari, ebbe l’idea di immettere in rete il protocollo Bitcoin a cui è seguìto il rilascio del sistema Blockchain solo nei primi mesi del 2009 e, come si dice, tutto il resto è storia.

Tra chi oggi grida alla nuova Febbre dei Tulipani, a chi auspica un pronto intervento dei Regolatori, per evitare un nuovo crash del sistema, c’è chi, invece, si lancia in una vera e propria corsa all’oro digitale. Il processo estrattivo, il mining però, è un procedimento che coinvolge una rete di calcolo paritetica (peer-to-peer) ed una quantità significativa di energia elettrica, volto alla soluzione di puzzle crittografati che danno vita ai blocchi che compongono la Blockchain.

Col dibattito che si infiamma anche per via della quotazione dei contratti derivati Futures alla Borsa di Chicago, solo qualche settimana fa la criptomoneta ha sfiorato i 20.000 dollari. Una cifra astronomica, se si considera che il Bitcoin ne valeva poche centinaia giusto un anno fa.



Qualche considerazione, quindi, è necessaria, per capire se questo fenomeno modificherà il sistema economico così come lo intendiamo o, come tutte le mode passeggere, sarà il ricordo di un momentaneo attacco d’isteria collettiva le cui cause dovrebbero ricercarsi altrove.

Nonostante sia tra gli argomenti più dibattuti, gli economisti concordano che la moneta debba essere: un mezzo di scambio; un’unità di conto; un mezzo di valore. Se le prime due caratteristiche sono facilmente riscontrabili in Bitcoin e nelle altre criptomonete in circolazione, il terzo elemento, il c.d. underlying value è, invece, frutto di una diatriba accesa. Per secoli il sottostante è stato l’oro, metallo prezioso e scarso in natura, a cui la moneta era ancorata, fino a quando venne abbandonato dalla comunità internazionale per un sistema fluttuante a cambi fissi con gli Accordi di Bretton Woods del 1971.

Se in ogni Euro o Dollaro il sottostante è oggi riscontrabile nel valore legale del titolo stesso, la domanda che in molti si stanno ponendo è: “chi si occuperà di garantire che Tizio o Caio si impegnerà ad accettare Bitcoin o altra criptovaluta prodotta in cambio di beni e/o servizi?”.

Il Mercato ha impiegato secoli a selezionare una merce adatta, che fosse scarsa e che si fondasse sulla fiducia reciproca dei consumatori. E anche se Bitcoin e molte altre cripto-valute siano di numero finito, non ci sembra un’eresia poter affermare che il sottostante, il valore intrinseco, a dispetto di chi sostiene con leggerezza il contrario, possa essere la Blockchain: la tecnologia che permette la gestione delle transazioni attraverso un sistema trasferibile ma non duplicabile.

Se all’alba della bolla Dot-Com potevamo solo ipotizzare l’impatto che l’Internet of Things avrebbe avuto nelle nostre vite, oggi, con le criptovalute possiamo avere un’idea più concreta di come sarà il nostro futuro.

Ciò che c’è di sensazionale in questo fenomeno emergente è che monete con caratteristiche diverse vengano, costantemente, prodotte da individui e istituzioni private ed immesse sul Mercato, rendendo il consumatore libero di scegliere. Egli, infatti, selezionerà in base ai propri bisogni la moneta che lo soddisfi maggiormente, massimizzando così la propria utilità e scacciando le altre meno buone, a dispetto di ciò che ebbe a sostenere Sir Thomas Gresham secoli fa.

Infine, è prevedibile che la concorrenza porterà all’affermazione di alcune monete virtuali il cui valore potrà rimanere costante nel tempo, eliminando così il problema della volatilità e garantendo sicurezza riguardo al potere d’acquisto dei detentori.


C. Melella G.S. Di Frisco

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