Scritto da Francesco D'ignazio
La crisi del COVID-19 ha risvegliato la polemica mai del tutto sopita sulla permanenza dell’Italia nell’area euro. Non sono infatti solo i gli anti-europeisti storici a lamentare una totale assenza dell’Europa a fianco del nostro paese quando questo deve fronteggiare la più grave crisi sanitaria che l’abbia mai colpito. Più che l’Europa, si criticano in particolare la Germania e gli altri paesi nordici, che bloccano le richieste - dell’Italia e di altre nazioni mediterranee - di emettere eurobond per sostenere finanziariamente quei paesi che sono stati letteralmente costretti a fermare le loro economie nel tentativo di rallentare la diffusione del virus. Ma cosa sono gli eurobond? Teoricamente si tratta di titoli obbligazionari emessi congiuntamente da tutti gli stati europei. Ma ciò è più facile a dirsi che a farsi. Quando si parla di eurobond infatti raramente si specificano i dettagli tecnici della loro emissione. Come verrebbero ripartiti fra i vari paesi Europei il capitale obbligazionario e gli interessi, per esempio? Ma soprattutto quale interesse pagherebbero queste obbligazioni ai loro detentori? Essendo garantite anche dalla Germania, il mercato le considererebbe probabilmente alla stregua di un titolo di stato tedesco. Un paese come l’Italia riuscirebbe quindi a finanziarsi pagando un interesse nettamente inferiore a quello pagato sui suoi titoli di stato. I paesi del Nord Europa propendono per l’utilizzo del Meccanismo Europeo di Stabilità, una sorta di mini Fondo Monetario Internazionale operante a livello europeo che può anch’esso emettere obbligazioni o aprire linee di credito, ma allo stesso tempo permetterebbe una maggiore vigilanza sull’impiego dei fondi da parte degli stati riceventi. Il livello del debito pubblico italiano infatti, già alto prima della crisi del coronavirus, aumenterà probabilmente in modo esponenziale a seguito di quest’ultima, rendendo il futuro delle nostre finanze pubbliche abbastanza incerto.
Ovviamente il problema non è esclusivamente ristretto all’Italia, tutti i paesi necessiteranno di interventi fiscali, finanziati con aumenti del debito pubblico, per risollevarsi. La Germania per esempio, che all’inizio della crisi appariva la più reticente ad arrestare la propria attività economica per tentare di rallentare la diffusione del virus, è scesa in campo con 500 miliardi, una cifra spropositata se confrontata con i fondi messi in campo dall’Italia, che è stato il primo paese a prendere misure draconiane per rallentare il tasso dei contagi, accettando di andare incontro a un tracollo drammatico dell’economia. In questi anni però la Germania è stata anche in grado di ridurre il suo debito tramite il contenimento della spesa pubblica. In Italia invece, l’obbiettivo di riduzione della spesa è stato abbandonato da anni anche dai riformatori più ambiziosi. È dunque per lo meno coerente che i tedeschi abbiano ora le munizioni per far fronte alla crisi con misure anti-cicliche, mentre i paesi che in questi anni non hanno risparmiato si trovano adesso privi di risorse, ed è anche comprensibile il fastidio del pubblico tedesco: a che pro essere virtuosi se poi i non virtuosi ricevono il tuo stesso trattamento? In un immaginario dibattito la controparte italiana potrebbe ribattere che in termini di gestione dei conti pubblici l’Italia è riuscita negli ultimi anni a gestire il suo avanzo primario, e sono gli interessi sul debito accumulato - il debt overhang - a mettere in difficoltà le finanze del paese. La questione economica è dunque complessa e difficile da dirimere, entrambe le parti hanno argomentazioni valide. In molti però, pur comprendendo le preoccupazioni tedesche, ne criticano la strategia politica: la mancanza di flessibilità della Germania in un momento così drammatico può potenzialmente portare all’uscita dell’Italia dall’Unione, uno shock i cui costi supererebbero quelli di aiutarla con gli eurobond o i coronabond. Questo punto di vista anche se valido è forse miope, nel senso letterale della parola, in quanto vede chiaramente i problemi a noi vicini - crescente risentimento e mancanza di fiducia in Italia verso l’Unione Europea - ma non quelli più lontani, dando per scontato che il pubblico e la politica tedesca siano disposti a difendere lo stato attuale dell’Unione monetaria a qualunque costo. Invece, è opinione diffusa nel nord Europa, e non confinata al mondo della destra, che l’Europa dovrebbe spaccarsi in due: un’“Europa a due velocità” per dirla in modo politicamente corretto, con i paesi del nord più virtuosi lasciati a perseguire una sempre più stretta integrazione, con buona pace del sud dissipatore. Una prospettiva che molti risparmiatori tedeschi trovano forse più allettante di dover sostenere il costo dei coronabond e potenzialmente dover anche mutualizzare il debito pubblico italiano ogni due o tre anni, data la nostra scarsa propensione alle riforme. Si teme la reazione antieuropea nel sud dell’Europa nel caso in cui gli eurobond non venissero emessi, ma si ignora completamente la reazione uguale o maggiore che potrebbe suscitare nel nord l’emissione degli stessi.
In conclusione, la questione dell’appartenenza all’Unione Monetaria viene spesso considerata in modo univoco, dando per scontato che l’uscita dall’area euro sia plausibile solo per paesi in difficoltà come la Grecia ieri e l’Italia oggi, mentre la permanenza tedesca nell’Unione è assolutamente incondizionata. Decidere le nostre prossime mosse sulla base di questa assunzione potrebbe rivelarsi pericoloso.
Comments